S. Messa esequiale di Padre Pellegrino Santucci (S. Maria dei Servi, Bologna - 27 luglio 2010) Omelia di Mons Ernesto Vecchi, vescovo
ausiliare idi Bologna. |
(Is
25, 6.7-9; Sal 22; Gv 14,
1-6) Il Signore ci ha
convocati in questa splendida Basilica per celebrare la Liturgia esequiale in
suffragio di Padre Pellegrino Santucci o.s.m.,
deceduto il 24 luglio 2010, alle ore 16.45. Il Padre è spirato a 89 anni
mentre la Chiesa cantava i Primi Vespri della XVII Domenica del Tempo
Ordinario, supplicando il Signore di “vegliare sopra i suoi figli pellegrini
nel mondo”, perché “la morte non li colga prigionieri del male”. La mia presenza
intende sottolineare la riconoscenza della Chiesa bolognese e del Suo
Arcivescovo, per quanto la Famiglia religiosa dei Servi di Maria ha fatto,
nel tempo, per l’incremento spirituale e culturale della nostra gente, nella
speranza che i frutti dello Spirito possano continuare a maturare. Padre Pellegrino è
morto qui, nel suo Convento, conservando fino all’ultimo una piena lucidità.
Confortato dai Sacramenti della fede è spirato nella consapevolezza di andare
incontro al Signore, giusto giudice, ma ricco di misericordia e fondamento
della nostra speranza, come ci ha ricordato il Profeta Isaia: «Ecco il
nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse... rallegriamoci,
esultiamo per la sua salvezza» (Cf. Is 25, 9). Di fronte alla morte,
il vero credente non giudica secondo l’ottica insufficiente della cronaca, ma
tenta di cogliere il mistero dell’uomo, alla luce del mistero di Dio e della
Storia della salvezza, specialmente quando l’uomo è configurato a Cristo
mediante il sacramento dell’Ordine e l’offerta totale di sé, nella speciale
consacrazione della vita religiosa. Solo in forza del “banchetto”
che il Signore, “in quel giorno”, preparerà sul monte della nuova
Gerusalemme (Cf. Ap 21,
2), verrà strappato il “velo” dell’ambiguità che copre, qui in terra,
“la faccia di tutti i popoli”. Oggi sappiamo che questo banchetto è
l’Eucaristia che fa sbocciare la Chiesa e che “quel giorno” è
anticipato e messo a nostra disposizione ogni Domenica, il “giorno di
festa primordiale” (Sacrosanctum Concilium, n. 106), perché i frutti della redenzione
siano spalmati sulla nostra vita quotidiana, in vista della sconfitta
definitiva del peccato e della morte (Cf. Is 25, 8). Quando Padre
Pellegrino, fin dal lontano 1944, ha risposto alla chiamata del Signore ed è
stato consacrato con l’unzione sacerdotale, la grazia sacramentale è scesa su
di lui come un fuoco: il suo essere è stato investito dall’energia dello
Spirito. Da quel giorno, dentro la sua coscienza, hanno trovato eco le parole
del Salmo 22: «Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei
nemici; cospargi di olio il mio capo, il mio calice trabocca» (v. 5). Noi sappiamo che tra i
discepoli del Signore hanno trovato posto Filippo e Andrea, uomini aperti
alla mediazione e al dialogo (Cf. Gv 12, 21-22), ma anche Giacomo e Giovanni, gli impetuosi
e un po’ intolleranti «figli del tuono» (Cf. Lc 9,
54-55). Gesù ha accolto non solo la fede rapida ed entusiasta di Pietro, ma
anche quella ragionata e difficoltosa di Tommaso. Non pare, in ogni caso, che
il Signore per questo ministero abbia preteso dei «super-uomini»; e questo ci
conforta tutti. A quanti, però, hanno
risposto alla sua chiamata, al di là delle loro vicende pregresse e del loro singolare
temperamento, Dio Padre ha chiesto a tutti di conformarsi all’identità di suo
Figlio Gesù Cristo, con un’adesione generosa, totale e irrevocabile. Certo,
Padre Santucci si sarebbe associato volentieri alla richiesta dei figli di
Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che, di fronte ai Samaritani inospitali,
chiedevano il loro annientamento mediante il fuoco caduto dal cielo, ma
avrebbe anche accettato il severo rimprovero di Gesù (Cf.
Lc 9, 54-56) che, Padre Pellegrino, attraverso Maria, aveva messo al centro
della sua vita sacerdotale e religiosa. Questo Frate
esuberante, dal temperamento emotivo, attivo e primario, non sempre è
riuscito ad evitare le esondazioni dall’alveo del grande fiume della sua “parresia”, cioè dal suo “coraggio di
testimoniare” la fede in Gesù Cristo in modo integrale. Spesso le sue
scelte erano provocatorie e sempre in controtendenza, ma espresse in un
contesto di fondo intriso di consapevolezza ecclesiale e di grande rispetto
per il mistero e il ministero del Vescovo, visto come principio di unità
nella vita della Chiesa particolare. Infatti, Padre
Santucci accetta – non senza qualche perplessità – l’invito del Cardinale Arciveascovo Giacomo Lercaro a
mettere la sua arte musicale a servizio della riforma liturgica e della
partecipazione attiva dei fedeli, conservando la solennità, la qualità e la
bontà delle forme musicali. Per il giorno di Pasqua del 1965, infatti,
compose la «Missa “Vulgaris Prima” in novitate spiritus»,
dedicata proprio al Cardinale Lercaro, il quale, lo
stesso giorno, dopo la Messa solenne in Cattedrale, gli scrisse testualmente:
«Non posso lasciar passare questo giorno senza ringraziarLa dell’apporto
veramente valido che Ella, con la Cappella Arcivescovile di S. Maria dei
Servi, ha dato stamane, non solamente alla solennizzazione del grande giorno
“che il Signore ha fatto”, ma ancora alla presentazione della riforma litugica». Dunque, il biglietto
da visita della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, che il Cardinale Lercaro e Padre Santucci presentarono alla Chiesa
bolognese il giorno di Pasqua del 1965, era quello di una liturgia solenne e
partecipata dal popolo. Una liturgia in grado di valorizzare la grande
tradizione liturgico-musicale del passato, ma aperta alle nuove forme
dell’arte a servizio di una “liturgia viva per uomini vivi”, a maggior gloria
di Dio e per la santificazione di tutti i membri della Chiesa. Purtroppo, la
secolarizzazione, il democraticismo e il relativismo culturale e morale hanno
in gran parte compromesso il cammino della riforma voluta dal Concilio.
Pertanto – come scrisse Giovanni Paolo II – bisogna ritrovare il “grande
soffio” che sospinse la Chiesa al momento della promulgazione della
Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, che tiene presente “con grande equilibrio
la parte di Dio e quella dell’uomo, la gerarchia e i fedeli, la tradizione e
il progresso, la legge e l’adattamento, il singolo e la comunità, il silenzio
e lo slancio corale” (Cf. Vicesimus
quintus annus, n.
22). Il Vangelo di Giovanni
ha fatto appello alla nostra fede in Dio e in Gesù Cristo, per superare i
momenti di turbamento, di incertezza e di smarrimento. Gesù ci ricorda che
tutti noi abbiamo davanti la propettiva della vita
eterna: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti... Io vado a
prepararvi un posto e ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi
dove sono io» (Cf. Gv
14, 2-3). L’importante è non
perdere di vista il volto di Cristo e l’icona della sua Croce. È lui «la
via, la verità e la vita» (Gv 14, 6). È Gesù
che mediante la sua risurrezione ha squarciato i cieli e ci ha posti accanto
a sé, alla “destra del Padre” (Cf. Mc 16,
19), nella Domenica senza tramonto. Padre Pellegrino ha
espresso al meglio il suo talento musicale proprio su questo orizzonte,
quando fu invitato dal Cardinale Arcivescovo Giacomo Biffi a concludere
ufficialmente, sul piano culturale, il Grande Giubileo dell’anno 2000. L’ 11
gennaio 2001, in Cattedrale, la Cappella di S. Maria dei Servi ha eseguito
l’Oratorio per soli, coro e orchestra «Jubilaei
Festum» che Padre Santucci ha composto (parole
e musica) per esaltare l’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio, unico
Salvatore del mondo, «ieri, oggi e sempre» (Eb
13, 8). Con questa
composizione (forse l’ultima), il genio artistico di questo “Padre Servita”,
“sui generis”, ha consegnato al terzo millennio una tradizione
musicale che, da secoli, è depositaria delle qualità indispensabili per
elevare lo spirito umano alle più alte vette della contemplazione e della
fruizione estetica. Infatti, l’Oratorio si
presenta con la forma musicale extra liturgica a più alta densità spirituale,
capace di far vibrare le menti e i cuori orientandoli alla fede, alla virtù,
allo slancio interiore, al desiderio della vita eterna in Paradiso. Di fatto questa
composizione si presenta come il testamento spirituale di questo Frate “volante”,
pronto a scendere in campo per difendere la fede, senza mai cedere a tutto
ciò che oggi viene chiamato “politicamente corretto”. Se le sue intemperanze
ci hanno fatto sorridere, la sua fede ci sprona a meditare su tanti
atteggiamenti che tendono a trasformare il cristianesimo in religione civile,
secondo una visione neognostica della
realtà. La grande eresia gnostica
è, ancora oggi, un pericolo latente nella Chiesa e nella società civile.
Perciò l’esempio storico della lotta tra i Corinzi, raccontata da S. Paolo,
rimane per noi emblematico (Cf. 1 Cor 1, 18-21). Lo ribadisce anche il nostro Arcivescovo,
Cardinale Carlo Caffarra, il quale afferma che la gnosi
assume, nel tempo, profili diversi, ma si manifesta sempre nella persuasione
che la dimensione «spirituale» non può avere carne e che il mistero
non può avere storia. In tal modo, la grande tradizione pastorale della
Chiesa viene distrutta (Cf. Nota Pastorale: “Se
uno non rinasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio”, EDB, Bologna 2004, p. 12). La scomparsa di Padre Pellegrino, dunque, diventa per tutti noi uno stimolo a riscoprire l’essenza del cattolicesimo, anche come sorgente di promozione culturale per questa nostra Città, che ha bisogno di recuperare la sua vera anima se vuole uscire dalla crisi. Ai giovani non basta proporre l’evasione digitale e lo sballo della “tecnomusica”. Per loro è necessaria la vera arte musicale che plasma lo spirito. In questo campo, Padre Pellegrino Santucci ha lasciato un’orma profonda nella nostra Città. Chissà se Bologna è capace di conservarne la memoria! |